La vicenda dei profughi

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Gli abitanti che per primi si sono stanziati al Villaggio provengono da zone molto diverse: Quarnaro, Romania, Grecia, Turchia, Libia, Tunisia, e persino Bulgaria e Ungheria. La maggior parte di loro, però, è originaria di Istria e Dalmazia. L’Istria ha sempre vissuto la presenza di popolazioni ed etnie diverse in un equilibrio delicato che si rompe quando, durante gli anni della occupazione da parte della dittatura fascista italiana, viene promossa una politica di italianizzazione a scapito della componente slava. Passata dopo l’8 settembre 1943 sotto l’amministrazione del Reich tedesco, nella primavera del 1945 viene occupata dalle truppe jugoslave di Tito, che inizia una eliminazione ed epurazione sistematica della popolazione italiana, accusata di essere avversa al suo regime. Si accentua da questo momento un vero e proprio esodo, già parzialmente iniziato nel 1943, che assume il carattere di una migrazione forzata e di una espulsione di massa della componente italiana della popolazione. Si calcola che a partire dal ’43 fino al ’56, circa 280.000/350.000 esuli siano giunti in Italia. Inizialmente sono accolti nei centri di raccolta e nei campi profughi, di solito edifici in disuso quali caserme, scuole, ospedali, conventi, talvolta addirittura ex campi di sterminio quali la Risiera di San Sabba a Trieste. In Piemonte vengono istituiti tre campi, a Torino, a Tortona e a Novara. La Caserma Perrone di Novara diventa centro di raccolta per profughi nel settembre del ’45. Tra il 1946 e il giugno del 1956, quando il campo chiude i battenti, ospita mediamente dalle 1000 alle 1100 persone. Gli enti assistenziali si occupano di corrispondere ai profughi sussidi in denaro, forniture alimentari e generi di prima necessità, tuttavia il disagio resta comunque grande. Le condizioni non sono certo ottimali: interi nuclei familiari sono ospitati in spazi ridotti, in situazioni di promiscuità e in condizioni igieniche precarie.  Nel campo sono presenti un’infermeria, un asilo, una scuola elementare e una cappella, oltre ad una serie di attività commerciali gestite dai profughi stessi. La vita quotidiana è scandita con grande precisione dalla Direzione del Campo. I profughi devono sottostare ad un regolamento rigido che prevede per ognuno compiti e turni per le varie attività. Non possono uscire la sera, se non con il permesso del Commissario e comunque il Campo chiude alle 23. Questo non facilita certo l’integrazione con gli abitanti della città! Nel ’52 un piano governativo di edilizia nazionale dà l’avvio alla edificazione di quartieri da destinare ai profughi. Si tratta in genere di strutture periferiche dislocate in aree scarsamente abitate delle città che avrebbero dovuto consentire alle famiglie ospitate il mantenimento di usi e tradizioni dei luoghi abbandonati. A Novara l’area scelta è quella della periferia sud, tra il rione Cittadella e il Torrion Quartara. Il 3 ottobre del ’54 viene posata la prima pietra del Villaggio Dalmazia.

 La Caserma Perrone

Dalla caserma Perrone Al Villaggio Dalmazia

Tutto nasce quando, nel 1956, si insediano nel Villaggio Dalmazia le famiglie dei profughi dell’Istria e Dalmazia e quelle “rimpatriate” dell’est europeo (Romania, Bulgaria, Grecia, Turchia, Tunisia, Grecia…) che erano state fino a quel momento ospiti del Centro di Raccolta situato nella Caserma Perrone. Se si parla con coloro che hanno vissuto questa esperienza, si ha l’immagine di una situazione precaria e disagiata. I nuclei familiari vivevano in spazi ristretti, a volte le camerate della caserma divise semplicemente da coperte che fungevano da pareti, con molti servizi in comune. È facile capire come la privacy non esistesse e come abitudini differenti fossero causa di tensioni tra le famiglie e i diversi gruppi. Una situazione che impedisce il crearsi di una vera comunità, perché le difficoltà della promiscuità hanno sovente il sopravvento anche sulla necessità di una solidarietà che aiuti tutte queste persone, sradicate dai loro luoghi d’origine e che si trovano a vivere in un ambiente, se non ostile, certo non molto accogliente. Dice Ausilia Zanghirella: «Per noi era bello essere tutti insieme, giocavamo, ci divertivamo!». E la stessa cosa sottolinea Giuliano Koten: «C’erano i giochi insieme, i canti, le suore che ci ricreavano una sorta di oratorio!». Le suore appunto! sono loro a cui si dev la prima attività pastorale tra i profughi. Suor Florida e Suor Maria Giacinta saranno figure importanti nella formazione di questa comunità. Suor Maria Giacinta è molto giovane quando viene inviata alla Caserma Perrone per quella che lei definisce una “esperienza di vita coi profughi”. «Io avevo appena finito il noviziato e molti dei profughi sono venuti a Mortara per accompagnarmi nel giorno della mia professione. Per loro, io e Suor Florida eravamo un punto di riferimento. Noi vivevamo con loro, condividendo in pieno la loro vita». Scriverà più tardi Elda Ghira «Ricordo le panche sotto i platani e loro curavano le nostre bambine nel ricamo, nei lavori e poi, la preparazione religiosa, i canti, i giochi, le feste, le recite, le gite, sempre con noi e senza limitazione di tempo. Sì hanno mangiato, bevuto, dormito poco e tanto, tanto lavorato». Sono le suore la presenza continua a cui tutti fanno riferimento, a cui si possono confidare preoccupazioni e speranze, che tutti trovano sempre disponibili in qualsiasi momento lieto o doloroso. Sarà per questo che al momento del trasferimento nelle nuove case del Villaggio Dalmazia i profughi si batteranno perché anche le suore possano seguirli.Il villaggio Dalmazia: Una nuova casa per i

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