di Giuseppe Frigerio

Nel contesto del secondo dopoguerra italiano, la ricostruzione del Paese non si limitò alla riparazione delle infrastrutture materiali, ma si estese alla rigenerazione morale e civile della società. Tra le iniziative più significative emerse in quegli anni vi furono i Convitti Scuola della Rinascita, istituti educativi nati per accogliere e formare giovani colpiti dalle conseguenze della guerra e della dittatura. A Novara, il Convitto “Mario Preda” rappresentò un esempio emblematico di questa missione pedagogica e civile.
Origini e Finalità dei Convitti della Rinascita
Istituiti a partire dal 1945, i Convitti della Rinascita furono pensati come comunità educanti, animate da ideali di giustizia sociale, solidarietà e partecipazione democratica. Destinati a orfani di guerra, figli di partigiani, deportati, perseguitati politici e profughi, questi istituti offrivano non solo istruzione scolastica, ma anche formazione civica, attività manuali e laboratori artigianali.
L’obiettivo era chiaro: formare cittadini consapevoli, capaci di contribuire alla costruzione dello Stato repubblicano.
Il Convitto “Mario Preda” di Novara
Attivo dal 1947 al 1950, il convitto novarese fu intitolato a Mario Preda, giovanissimo partigiano detto Topolino, ucciso a soli quindici anni durante la Liberazione. Nato a Verano Brianza il 27 novembre 1929, proveniente da una famiglia antifascista, Preda si unì volontariamente alla Brigata Garibaldi Bariselli, dove militava anche Aldo Aniasi poi sindaco di Milano. Morì il 25 aprile 1945 mentre tentava di soccorrere un compagno ferito.
La sede del convitto era collocata in una grande casa patrizia nei pressi del Tribunale e dell’Istituto Salesiano. L’ambiente era curato e accogliente, con spazi verdi, un campetto da calcio e persino una vasca con pesci: nonostante le difficoltà del dopoguerra, si respirava un forte desiderio di rinascita.

Testimonianza di Quinto Pugliese
Una voce preziosa per ricostruire la vita quotidiana del Convitto “Mario Preda” è quella di Quinto Pugliese, ex allievo oggi residente a Taranto. Accolto insieme al fratello Tony dopo la morte di un altro fratello partigiano, Pugliese ricorda con emozione l’impegno educativo dell’istituto:
“Ci insegnavano non solo a studiare, ma a capire il valore della democrazia. Ci parlavano molto di politica e ci spiegavano il pericolo del fascismo.”
Profughi dall’Istria e dalla Dalmazia: un’umanità ferita in cerca di futuro
Molti degli ospiti dei Convitti della Rinascita — incluso quello di Novara — erano figli di profughi, orfani e famiglie provenienti da Fiume, Pola, Zara e da altre città dell’Istria e della Dalmazia, costretti all’esodo dalle drammatiche vicende del confine orientale.
L’arrivo di questi giovani portò nei convitti un’umanità segnata dalle perdite e dagli sradicamenti: bambini e adolescenti che avevano visto svanire in pochi mesi la propria casa, la propria città e spesso i propri affetti.
Nei convitti, queste storie individuali si intrecciavano con quelle dei coetanei figli di partigiani, deportati e perseguitati politici.
Nacque così un ambiente multiforme, ricco di dialetti, culture e memorie diverse ma unito dalla stessa esigenza di ricostruzione morale.
La quotidianità condivisa — dallo studio alle attività educative fino ai giochi nel cortile — contribuiva a trasformare il dolore dell’esodo e della guerra in una rinnovata fiducia nel futuro, dentro una comunità che offriva protezione e nuove radici.
Dopo la chiusura del convitto novarese nel 1950 per mancanza di fondi, i fratelli Pugliese furono trasferiti a Genova, nel Convitto “Bisagno”, che cessò l’attività l’anno successivo. Successivamente raggiunsero i genitori, rifugiatisi a Taranto dopo essere fuggiti da Pola.
Novara ha avuto l’esperienza della scuola per bambini, la scuola visitata dal segretario di Stato Americano Washburne e diretta dalla professoressa Anna Maria Princigalli, che aveva la caratteristica di scuola attiva, una scuola che fosse, in un certo senso, società vissuta oltre che scuola di tipo elementare
Una Rete Nazionale di Educazione Democratica
Il Convitto “Mario Preda” faceva parte di una vasta rete nazionale con sedi a Milano, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Roma, Reggio Emilia, Cremona e Sanremo. Ogni sede era radicata nel proprio territorio e offriva corsi mirati alle vocazioni locali: meccanica, artigianato, floricoltura, cultura civica.
Gli insegnanti provenivano da ambienti operai, intellettuali e artistici, contribuendo a un clima di intensa partecipazione democratica.
Il Declino dei Convitti dopo il 1948
Dopo il 18 aprile 1948, le scuole partigiane subirono un crescente boicottaggio da parte dei governi democristiani, che le consideravano “covi dei rossi”.
Le convenzioni per il finanziamento vennero revocate, gli insegnanti distaccati furono richiamati e le ispezioni ministeriali — pur senza trovare elementi sovversivi — dovettero riconoscere:
“La positività, il lavoro altamente qualificato e l’impegno straordinario nell’ideale della dignità del lavoro e della prassi di libertà.”
Uno dopo l’altro, i Convitti furono costretti a chiudere.
Resistette soltanto quello di Milano, che nel 1955 dovette lasciare la sede di via Zecca Vecchia. Grazie all’intervento del Comune, venne concessa un’ex fabbrica ferroviaria fatiscente: con un grande lavoro collettivo, la scuola venne riattata e riaprì nel 1956.
Nel 1958 ottenne il riconoscimento legale e i corsi professionali passarono all’ECAP-CGIL; il convitto rimase attivo fino al 1970.




Fonti della Ricerca
• Varie sedi locali dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)






























































































































































































































































































